Luigi Zanin, Direttore dell’U.O. Cooperazione internazionale, Regione del Veneto

I risultati dell’iniziativa che viene presentata, e la qualità dei contenuti oggetto dell’approfondimento di questo convegno confermano, a vent’anni di distanza, la giusta intuizione che la Regione ha avuto nell’approvare la legge regionale sulla valorizzazione del patrimonio storico e culturale di origine veneziana dell’Istria e della Dalmazia.

Pensare all’attuazione sin dal 1994 di una norma di questo genere, che prevedeva lo sviluppo di progetti di cooperazione internazionale anche come veicolo per potenziare le relazioni istituzionali fra Venezia, il Veneto e quello che era stato in passato il suo territorio di immediata irradiazione politica, ha significato saper fondere le istanze della tutela culturale a quelle di una armonica crescita dei territori. Per più di mille anni il ducato veneziano nella sua originaria essenza, e poi evolvendosi in Repubblica, ha intrattenuto rapporti, prima commerciali, poi di vera e propria amministrazione, e di gestione del potere con questi territori. Nell’alto medioevo Venezia comandava l’Alto Adriatico grazie al dominio sui mari, riconducendo al porto di Rialto il dominio dei commerci. Successivamente sono maturate le condizioni di un assetto ben più complesso, che prevedeva gestione diretta dei porti assieme ad accordi con i poteri locali; un contesto in cui comunque Venezia ha mantenuto un ruolo essenziale nella formazione dell’identità storica e nello stesso paesaggio dell’Istria e della Dalmazia.  

Questo approccio così singolare, che valorizza i canali di relazione istituzionale e culturale anche per consentire la formazione di rapporti più stretti, rapporti che sfociano spesso in iniziative che investono la sfera economica, costituisce probabilmente una delle singolarità della legge regionale sul patrimonio veneto in Istria e Dalmazia anche nel contesto nazionale. 

Pensare di poter far nascere dalla persistenza di questi tessuti culturali di trama così fitta e continuativa, forme di più stabile cooperazione fra il Veneto e questi territori ripercorrendo le tracce significative della tradizione storica veneziana, appare ancor oggi un’esperienza da perseguire e da rilanciare mettendo al centro il patrimonio storico-culturale nella sua funzione di ponte per sviluppare relazioni. 

Rivolgo pertanto un plauso al convegno per la bontà e l’interesse davvero vivo del tema oggetto di approfondimento. Uno dei modi per leggere la trasformazione del paesaggio nei territori dell’Alto Adriatico, e con esso le persistenze tradizionali della sua storia, può essere svolto attraverso la disamina delle forme e delle modalità costruttive delle torri campanarie, del loro riutilizzo rispetto a precedenti funzioni militari, ad un ruolo marcatamente simbolico che operano nel territorio circostante. Fondamentale, come dimostrano gli insuperati studi di Marc Bloch, queste infrastrutture l’hanno avuta nella misurazione del tempo che tanto peso ha poi avuto nelle società medievali e moderne. Oggi si affronta l’interessante tema della tecnologia degli orologi, la diffusione delle macchine dai centri di produzione e la ricostruzione delle aree in cui operarono i maestri; molto resterebbe da scrivere sul ruolo così complesso avuto in questi processi dalla committenza. Perché la scelta di acquistare e mettere in opera macchine come queste comportava anche una scelta di autorappresentazione che interessava sia le comunità che quelle che potremmo definire ancora come signorie rurali. Dinamiche che traspaiono anche dalla configurazione delle stesse cuspidi campanarie, non raramente – ma questa è una storia tutta da scrivere – strumento per rappresentare l’adesione a parti politiche, come accadeva in Friuli almeno dal XVII secolo per segnalare l’adesione dei castellani alla Repubblica per la vicinanza alla Casa d’Austria. Tutto ciò, come detto, accentua le forme e i processi di evoluzione del paesaggio, su cui hanno un ruolo la scelta dei diversi materiali, l’utilizzo della pietra d’Istria, del cotto, di altre tipologie costruttive, può essere letta anche proprio attraverso questi particolari, così rappresentativi delle vicende politiche del territorio.

Tutto questo per segnalare alcuni stimoli che potrebbero rendere utile il prosieguo in futuro di questa interessante ricerca.

Luigi Zanin

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